Sul principio di sostenibilità e di responsabilità sociale sono in molti che si riempiono la bocca e in molti a partire da CEO delle grandi aziende mondiali che riempiono i social di post e i giornali di parole eco.compatibili.
Cos’è la Corporate Social Responsibility
La Corporate Social Responsibility aziendale, come viene ufficialmente definita nel 2001 dalla Comunità Europea è l’integrazione su base volontaria, da parte delle imprese, delle preoccupazioni sociali e ambientali nelle loro operazioni commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate. Il concetto si fa risalire al 1953 e al libro di Howard R. Bowen “Social Responsibility of Businessman” il quale si chiede quali responsabilità verso la società sia lecito aspettarsi da chi dirige un’impresa. Le definizioni di CSR nel corso degli anni si sono moltiplicate ma tra le più popolari c’è quella di Archie B. Carrol con la sua piramide della CSR elaborata nel 1991 e ancora oggi tra le più accreditate, almeno fino alla dichiarazione sottoscritta in agosto dai 181 amministratori delegati statunitensi.
Carrol non nega l’assunto di Friedman, infatti il profitto rimane alla base della piramide delle quattro responsabilità del business, inteso però in un’ottica di lungo periodo. Al secondo gradino c’è il dovere da parte dell’impresa di rispettare leggi e norme, dal diritto del lavoro alla salute pubblica. Ancora sopra, l’etica, intesa come un’operosità che sottende la morale e in questo senso va anche oltre le leggi scritte, per esempio attraverso una maggior attenzione ai rapporti con clienti e fornitori. In cima alla piramide di Carrol c’è la responsabilità filantropica, la CSR, ovvero l’impegno a restituire alla società il valore che si ricava dal business.
La fotografia odierna, tuttavia mostra o sembra evidenziare un approccio di tipo normativo (le norme dicono che bisogna fare) mentre resta indietro l’approccio di tipo operativo. Quando e come le aziende si “sporcano” le mani con la pratica che costa fatica e sacrifici? Investire sulla sostenibilità genera costi economici importanti, richiede innovazione nella filiera produttiva e distributiva delle imprese, richiede tempo se si desidera prenderla seriamente. E’ necessario mettere in campo azioni concrete per disegnare non il prossimo futuro, ma il presente vissuto ogni giorno.
L’impresa a 360° di Sarah Kaplan*
Per attuare il cambiamento serve il coinvolgimento di tutti, nel suo libro Sarah Kaplan spiega che non si possono fare solo compromessi, la responsabilità sociale deve essere l’obiettivo finale per le imprese e non un semplice ornamento. Nel libro viene raccontato il caso di Walmart il primo player della GDO Usa con oltre 400 miliardi di dollari di fatturato. Walmart decise nel 2007 di vendere detersivo liquido per bucato solo nella formula concentrata. I vantaggi per l’ambiente furono evidenti: meno acqua, flaconi di plastica più piccoli, meno scatoloni da spedire, meno trasporti e dunque meno inquinamento.
Anche i vantaggi per l’impresa furono chiari: riduzione dei costi di spedizione e logistica, e copertura mediatica positiva. Naturalmente il cambiamento non fu facile e anche Walmart dovette rimboccarsi le maniche: modificando le disposizioni sugli scaffali, le sequenze delle consegne e lo stoccaggio, installare schermi interattivi per presentare il nuovo prodotto ai clienti, formare i soci Walmart sui relativi vantaggi e lanciare promozioni per invogliare i consumatori ad acquistare le nuove formule concentrate.
Le aziende motivate da uno scopo trovano il modo di realizzare obiettivi sociali senza perdere di vista gli utili. Le aziende motivate attraverso l’innovazione e la creatività fanno sacrifici e fanno il cambiamento, altre aziende si limitano solo a parlarne.
Di redazioneSparklingRocks
*da “L’impresa a 360°. Dai compromessi con gli stakeholder alla trasformazione organizzativa”, di Sarah Kaplan, Egea, 2020, 29,50 euro